Giulia
Ariani architetto – project manager
programmi
complessi, marketing territoriale, restauro dei monumenti, progettazione
architettonica. tel. / fax 0984/22262, e-mail .g.ariani@libero.it
via F. Solimena,
n. 76 - 80127 Napoli
L’esperienza
italiana, riguardo il sommerso, è partita da una analisi economica che
non è stata anteposta ad una analisi politica del fenomeno. E’ vero che
la ricerca nasce generalmente da una esigenza di policy (si studia un fenomeno
per capirne le ragioni ) ma è anche vero che il metodo di analisi
può sviluppare campi determinati di policy e non di altri.
Questo chiarimento è
fondamentale perché si sappia che dove non vi è cultura
d’impresa, il non dichiarare, spesso proviene più da una diffidenza e da
una sfiducia verso le Istituzioni che da un problema economico, ed ecco che le
statistiche non hanno più il significato di una misurazione del reddito
Nazionale o del lavoro sommerso, ma si tratta piuttosto di lavorare alla
riduzione dell’economia e del lavoro irregolare, che sappiamo assai elevati.
Uscendo da uno deduttivismo scontato si può guardare il fenomeno da
un’altra angolazione vale a dire dalla policy all’analisi, più che viceversa.
Intanto,
così come si legge tra le pagine dei documenti sulla politica
dell’Unione Europea, non vi è separazione tra politiche di assistenza e
politiche di sviluppo, là dove vi è assistenza si sovrappone lo
sviluppo che consiste nel fare emergere le capacità e le risorse poco
utilizzate, a partire dalle fasce sociali più svantaggiate per
arruolarle alla crescita, al consolidamento della struttura produttiva, al
risanamento sociale ecc.
Del resto molti sono i libri
comunitari su cui si sta lavorando per dare assetto alla cultura avanzata
d’impresa, come il libro verde sulla R.S.I. ( Responsabilità Sociale
delle Imprese ) questo definiva la responsabilità sociale delle imprese
come “l'integrazione su base volontaria dei problemi sociali ed ambientali
delle imprese nelle loro attività commerciali e nelle loro relazioni con
le altre parti” in quanto imprese e società sanno che un
comportamento responsabile è la premessa di un
Giulia Ariani architetto – project manager
programmi complessi, marketing
territoriale, restauro dei monumenti, progettazione architettonica. tel. / fax 0984/22262, e-mail .g.ariani@libero.it
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successo
commerciale durevole. Adottando comportamenti socialmente responsabili, le
imprese intendono gestire il cambiamento in modo consapevole sul piano sociale,
cercando di trovare un compromesso equilibrato tra le esigenze e i bisogni
delle parti interessate in termini che siano accettabili per tutti. Se le
mutazioni saranno gestite con responsabilità e consapevolezza, l'impatto
a livello macroeconomico sarà sicuramente positivo.
La responsabilità sociale delle imprese
può contribuire, pertanto, entro il 2010, al raggiungimento
dell'obiettivo strategico fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del marzo
2000, vale a dire “diventare l'economia della conoscenza più
competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica
sostenibile accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo
dell'occupazione e da una maggiore coesione sociale"; essa potrà
inoltre servire a rafforzare la strategia europea di sviluppo sostenibile.
Il processo di consultazione sul Libro verde ha
sostenuto l'azione comunitaria nel campo della responsabilità sociale
delle imprese. Nella recente comunicazione, che
costituisce
il seguito del Libro verde dello scorso anno, la Commissione espone la
strategia comunitaria di promozione della RSI. Tale comunicazione consta di sei
capitoli. Il primo riassume brevemente i risultati del processo di
consultazione; il secondo elabora la strategia europea intesa a promuovere la
responsabilità sociale delle imprese, definendone il concetto, il posto
che essa occupa nel contesto dello sviluppo sostenibile e le sue ripercussioni
sulle imprese e sulla società.
Se
la sensibilità verso la cultura d’impresa raggiunge livelli così
elevati, tanto da andare oltre il problema dell’emersione di un tessuto
produttivo ombra, è chiaro che ci si rivolge a regioni comunitarie dove
le imprese sono più radicate e condividono le azioni necessarie per
maturare e raggiungere la costruzione dell
’”ambiente favorevole”, base essenziale affinché lo sviluppo
programmato sia sostenibile nel tempo.
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Imprese ed ambienti (intelligenti)
condividono ormai lo stesso respiro, bisogna trasformare la semplice
localizzazione delle imprese in vero e proprio radicamento. Se si considera che
l’ambiente non è più un insieme di sottosistemi ( ambiente
fisico, ambiente culturale, ambiente tecnologico, ambiente sociale, ambiente
politico-istituzionale, ambiente economico) cui adattarsi, ma un sistema di opportunità
da integrare dentro la realtà territoriale.
Il diverso atteggiamento nei confronti
dell’ambiente genera un diverso rapporto con esso perché l’impresa
“radicata” (non solo localizzata) evolverà solo se evolve e si sviluppa
anche l’ambiente, quindi tutte le imprese e le organizzazioni presenti in un
territorio sono chiamate ad agire congiuntamente per lo sviluppo
dell’ambiente-territorio nel quale operano.
E’ qui il problema si pone e i termini
sono politici, come prima si evidenziava, la logica da perseguire è
quella della società attiva che deve combinarsi con quella della
qualità del lavoro, nel nostro Paese, la policy dell’emersione è
scaturita da una costellazione di circostanze: l’avvio spontaneo di accordi tra
le parti sociali (che, in seguito, hanno preso il nome di contratti di
riallineamento) nelle zone, come le Province di Lecce e di Brindisi,
caratterizzate dal sommerso bianco (vale a dire, da lavoro formalmente in
regola, ma basato sulla decurtazione di fatto del salario); l’esistenza di una
vasta letteratura economica che ha spostato l’attenzione analitica dalla grande
impresa agli ispessimenti produttivi (distretti e sistemi locali) delle PMI;
l’improvvisa immigrazione di centinaia di migliaia di essere umani in cerca di
lavoro, che ha messo implicitamente alle corde le interpretazioni correnti
della disoccupazione italiana; le difficoltà delle politiche
meridionaliste tradizionali che, per contrasto, hanno valorizzato le politiche
di sviluppo locale; l’emergere nel Sud di una vitalità produttiva delle
PMI del semisommerso, documentata da una miriade di ricerche, che ha dato
l’avvio a sorprendenti campagne di stampa ecc.
Come è noto, questo
fiume in piena è stato incoraggiato, indirettamente, dall’evoluzione
europea; e in particolare dal vertice sull’occupazione di Lussemburgo (1997) e
dai Consigli Europei di Lisbona (2000), Stoccolma (2001) e Barcellona (2002).
E’ accaduto, allora, che la
“congiuntura astrale” appena accennata abbia coagulato un’esigenza politica
(nel senso più ampio del termine) da cui è scaturita la policy dell’emersione. La domanda ha indotto quest’offerta
specifica; più che viceversa.
Essa ha provocato una policy che non può permettersi il lusso di vestire i
panni asettici della scienza economica in quanto tale; che deve fare i conti
con il Paese, così com’è; con i comportamenti degli italiani; con
le loro passioni e ed i loro interessi, con i loro atteggiamenti psicologici,
sociologici, antropologici ecc.
In una parola: l’economia ha
qui bisogno di dipanarsi in simbiosi con le altre scienze umane.
Così, negli ultimi
anni, la prospettiva dell’emersione, nonostante le grandi difficoltà in
cui incappa inevitabilmente una politica del tutto nuova, ha fatto breccia nello schieramento civile,
sociale e politico del Paese - fino a diventare una trincea (speriamo) fortificata della
battaglia per la piena occupazione italiana.
COOPERAZIONE TRANSFRONTALIERA, TRANSNAZIONALE
E INTERREGION
Lo sviluppo delle regioni europee tende
a essere sempre più influenzato dalle dinamiche esterne: confrontarsi
con le regioni confinanti e con il contesto internazionale non è
più semplicemente un’opportunità di
scambio di esperienze e buone pratiche, ma costituisce un elemento chiave del
successo delle politiche di sviluppo e coesione regionali e, quindi, una
componente essenziale degli interventi di mainstream.
La Commissione europea ha sinora
sostenuto la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale, ma
sono emerse incongruenze e difficoltà.
Occorrerebbe differenziare tali
tipologie di cooperazione:
–
Dopo più di dieci anni di
sperimentazione, la cooperazione transfrontaliera po-trebbe divenire una
modalità ordinaria di attuazione della politica per lo svi-luppo locale,
importante sia per le aree di frontiera interne all’UE, sia per quelle esterne,
incluse quelle marittime. Una sua adeguata presenza all’interno dei programmi
di mainstream sarebbe perciò particolarmente auspicabile e
dovrebbe essere supportata con l’introduzione di strumenti giuridici efficaci.
– La
cooperazione transnazionale potrebbe essere meglio focalizzata verso lo
sviluppo integrato di aree vaste. Per ottenere questo risultato, la scelta di
speci-fici focus tematici potrebbe assicurare l’aggregazione di
partenariati e territori significativi, attraverso strumenti atti a meglio
sostenere lo sviluppo e la go-vernance di tali aree. In tal modo,
sarebbero favorite la permeabilità di buone pratiche fra le regioni
degli Stati Membri e l’utilizzazione dello strumento della cooperazione per
l’integrazione di politiche di mainstream tra regioni.
– La cooperazione interregionale potrebbe
essere finalizzata alla costruzione di reti immateriali a geometria variabile,
convogliando le esigenze regionali verso grandi temi d’interesse comunitario.
Lo sviluppo di tali reti andrebbe, peraltro, differenziato in funzione
dell’area di cooperazione: all’interno dell’UE o nei grandi spazi di
cooperazione esterna a Est e a Sud dell’Europa. La realizzazione di reti
immateriali deve favorire la circolazione di metodi e buone pratiche per il
miglioramento della capacità amministrativa dei partner della
cooperazione. In futuro tale impostazione potrebbe essere estesa anche
all’interno dell’Unione allargata.
Anche se la cooperazione in rete
è divenuta un’attività consueta per le Amministrazioni regionali
e locali, è opportuno non escludere che vi siano casi specifici in cui
la Commissione europea debba direttamente promuovere tale attività,
mediante iniziative comunitarie. Si potrà valutare ad esempio
l’opportunità di sperimentare soluzioni in campo sociale in grado di
accompagnare, con modalità innovative, la strategia europea per
l’occupazione. Si potrà anche valutare l’opportunità di
accompagnare la realizzazione delle Reti europee di trasporto (TEN) con attività
e progetti volti a realizzare condizioni di contesto adeguate a trasformare i
corridoi infrastrutturali in corridoi di sviluppo. In ogni caso la futura
politica regionale di coesione comunitaria dovrà agire affinché
le diverse attività di cooperazione concorrano attivamente al riequilibrio
strategico-territoriale dell’Unione in sinergia con strumenti finanziari per la
cooperazione esterna, in particolare:
–
ponendo in risalto la centralità dell’area mediterranea, anche in vista
dell’avvio
della
zona di libero scambio, e dei Balcani;
–
riconoscendo la preminenza delle grandi infrastrutture, che possono contribuire
a
ridurre i divari in Europa, attraverso il rilancio delle Reti europee di
trasporto e la rapida realizzazione degli assi stradali e soprattutto
ferroviari che collegano l’Italia con i paesi dell’UE-27 e i Balcani, con
particolare riferimento ai Corridoi 5 e 8.
A tal fine è necessario che,
accanto all’inserimento delle iniziative di coopera-zione negli obiettivi di mainstream,
venga perseguito un efficace coordinamento tra le politiche comunitarie per
la Coesione e quelle relative alle Relazioni esterne.
Nell’ottica
di quanto detto e in riferimento ai corridoi infrastrutturali in essere, ci
sembra di fondamentale importanza promuovere un’azione di partenariato che ci
accomuni nel rafforzamento dei canali di cooperazione lungo il corridoio 9,
seguendo la via Egnazia.
La Calabria, Regione mediterranea terra
di colonie greche nel passato oggi sponda commerciale, cerniera, per il
rafforzamento di un cammino di sviluppo comune.
Arch. Giulia Ariani
ΜΕΤΑΦΡΑΣΗ 2
ΕΙΣΗΓΗΤΡΙΑ: GIULIA ARIANI – ΑΡΧΙΤΕΚΤOΝΑΣ ΜΗΧΑΝΙΚΟΣ
Κυρίες
και κύριοι,
Ήρθαμε στην χώρα σας, με εξίσου
ενδιαφέρουσες προτάσεις, με σκοπό την
συνεργασία της Καλαβρίας και της Περιφέρειας της Κεντρικής Μακεδονίας
ώστε να επιτευχθεί μία ευρύτερη συνεργασία, και να μπορέσουμε να πετύχουμε τα
αποτελέσματα που θέλουμε για την παράνομη εργασία, διότι δεν είναι μόνο τοπικό
φαινόμενο, είναι Ευρωπαϊκό φαινόμενο, και πρέπει να το δούμε ολοκληρωτικά. Έτσι
λοιπόν, βάση των παραπάνω και καθώς υπάρχει το πρόβλημα της μετανάστευσης, της
μη νόμιμης εργασίας και βάση αυτού του συνεδρίου στόχος μας είναι να
δημιουργηθεί ένα δίκτυο, και να καταπολεμήσει το φαινόμενο αυτό μέσω της
Παιδείας.
Η αρχική πρόταση η οποία έχει
διαμορφωθεί, επικεντρώνεται σε 3 βασικά σημεία,
λόγω ότι είμαστε στην Ευρώπη με πολλές περιοχές και πολλές ιδιαιτερότητες, χρειάζεται το σεβασμό από την Ε.Ε. και για να γίνει κατανοητό αναφέρουμε ένα παράδειγμα την Εγνατία.
Που όπως γνωρίζουμε ως Έλληνες δεν χρησιμοποιείται μόνο
ως οδός διακίνησης, αλλά εκτός ότι συνδέεται με τις μεταφορές, είναι και
άρρηκτα συνδεδεμένη με τον πολιτισμό.
Επειδή
η Καλαβρία συνδέεται με την Μακεδονία μέσω της Εγνατίας εδώ και χιλιάδες χρόνια
ελπίζουμε ότι θα είναι η οδός που θα μεταφέρει τις σωστές ιδέες και θα σεβαστεί
τις ιδιαιτερότητες, και θα είναι η βασική οδός για την ανάπτυξη των περιοχών
μας με την είσοδο νέων 10 μελών στην Ε. Ε.
Υπάρχουν περιθώρια συνεργασίας ήδη έχει ορισθεί από την
Περιφέρεια της Καλαβρίας, ως project manager για να δει τι συνεργασίες θα αναπτυχθούν με τον Νομό
Σερρών, και περαιτέρω.